Ho ricevuto una mail da parte dell’Ufficio Legale della Banca che mi dice di aver preso in carico la faccenda e che mi sarà data risposta “nei tempi previsti dalla normativa”. Io non so esattamente cosa preveda la normativa, ma so che con questa risposta mi fanno capire che loro hanno di meglio da fare che occuparsi di me e dei miei problemi.
Magari sono io che non ho ben chiaro il significato della mail ma ho il timore che presto mi ritroverò con una citazione in giudizio per le mie pubbliche lamentele.
Nel frattempo, due giorni fa ho avuto una call con un cliente storico. So che anche loro hanno un conto con Banca Etica e ho chiesto se fosse tutto a posto. Mi hanno risposto che da diverse settimane hanno problemi con gli accrediti di denaro provenienti da Stripe (per i non addetti ai lavori, Stripe è una delle maggiori piattaforme mondiali che gestisce pagamenti digitali per e-commerce, tipo Paypal, ma europea). Anche il mio cliente non sapeva nulla dell’esistenza del problema: nessuno gli aveva comunicato nulla. Come nessuno aveva comunicato nulla a noi.
Poco fa mi hanno chiamato dalla filiale di Milano per comunicarmi che non ci sono abbastanza soldi sul conto per pagare gli F24 (le tasse). Ho chiesto quale soluzione mi proponessero, ma dall’altro capo del telefono la soluzione non è arrivata.
Su Facebook però le forze social di Banca Etica cercano di precisare la stessa storia: che è tutto in ordine e che è tutto a posto e che la colpa è di tutti gli altri, parlano di dovuta assistenza (si, da parte dell’ufficio legale nei tempi previsti dalla normativa) Addirittura arrivano delle scuse (per la prima volta).
Dice che la banca ha risposto alle mie richieste con i mezzi a propria disposizione ma, lasciatemi dire che se questi sono i mezzi a disposizione della banca, davvero siamo messi proprio male.
In ogni caso l’evidenza è la seguente: Banca Etica cambia uno dei propri codici, non viene più riconosciuta dagli altri istituti bancari e, invece di allertare i propri correntisti scusandosi per il disservizio e proponendo soluzioni, nasconde tutto sotto il tappeto e lascia i propri correntisti da soli a risolversi il problema, a trovare la liquidità per pagare le tasse dando la colpa agli altri.
Immagina di gestire un’azienda che deve pagare lo stipendio a una decina di persone e che, all’improvviso, il tuo conto in banca venga bloccato senza motivo: i bonifici non entrano e i soldi continuano a uscire con la solita regolarità.
Non si tratta di una mera ipotesi ma quello che mi sta succedendo in questi giorni, ma andiamo con ordine.
Quando sono diventato amministratore dell’azienda che ho fondato una decina di anni fa, una delle prime decisioni è stata quella di lasciare la vecchia banca e di passare a Banca Etica: mi piaceva l’idea di essere dalla parte del bene, che i miei soldi venissero usati per finanziare progetti che inseguissero “l’interesse di tutti”. Ho aperto un conto e siamo diventati soci.
In molti me l’avevano detto che non sarebbe stato tutto rose e fiori, ma che cavolo, dicevo io, sono pur disposto ad affrontare qualche disservizio: in nome di una finanza etica, questo e altro.
Come quando mi sono reso conto che in tuta la provincia di Milano, l’unica filiale disponibile era in centro a Milano. Mi sono detto che se la banca è etica, questo e altro.
Come quando mi ritrovavo a dover versare il contanti sul conto corrente: ogni volta dover andare fino alla filiale accanto alla stazione centrale di Milano con un migliaio di euro in tasca era una sensazione sgradevole. Ma, insomma, se la banca è etica, tutto sommato si può accettare.
E si può accettare anche quando te ne devi tornare a casa con i soldi ancora in tasca, perché quel giorno lì il registratore di cassa della banca non funziona e non puoi versare il contanti. Ma insomma, se la banca è etica, si può accettare.
Come quando, a causa del COVID mi sono ritrovato a chiedere il primo finanziamento della nostra vita alla banca, i famosi 25.000 euro garantiti al 100% dallo Stato. Nonostante la garanzia statale, Banca Etica fu solerte a negarci il finanziamento in prima battuta perché uno degli ultimi 3 bilanci di esercizio si era chiuso in passivo. Per ottenere il finanziamento che ci permise di sopravvivere alla pandemia dovemmo approvare in fretta e furia un nuovo bilancio molto lusinghiero. Ma insomma, se la banca è etica, la cosa è accettabile, no?
E d’altronde, non è forse anche accettabile che il sistema di home banking funziona quando ha voglia? Se la banca è etica, si accetta.
Oppure l’app: certo, poter controllare le finanze aziendali dal proprio cellulare, immettere bonifici, etc, è un vantaggio e, se l’app non funziona come deve, si può sopravvivere, no? L’importante è che la banca sia etica.
Ma poi arriva il punto di non ritorno, il momento in cui smetti di perdonare quelle mille imperfezioni perché stanno mettendo a repentaglio il tuo lavoro e la tua esistenza.
A metà novembre ricevo una mail di un cliente croato che mi dice che gli è tornato indietro un bonifico che mi ha fatto. Penso che il mondo è pieno di stupidi e lo invito a ripetere il bonifico, ma anche questo torna indietro.
Nel frattempo noto che c’è una fattura di quasi 2000 € di un cliente sloveno che ancora non è stata pagata. Sollecito il pagamento, ma loro mi rispondono che il bonifico è stato effettuato e allegano contabile di pagamento. Solo che io quel bonifico non l’ho mai ricevuto.
Stranamente mi accordo che nel mese di novembre è mancato un altro bonifico all’appello: quello di Google che ogni mese ci ricompensa per la pubblicità che gli permettiamo di vendere attraverso il nostro sito. E mi accorgo che Google ha anche bloccato i nostri account pubblicitari perché non riescono ad addebitarci le spese e questo significa che non possiamo più pubblicizzare i nostri prodotti e servizi, quindi venderli, quindi incassare denaro.
In poche parole, la macchina si è fermata.
È un venerdì mattina e la prima cosa che faccio appena alzato è inviare una mail alla banca perché inizio ad avere un legittimo sospetto. Passa tutto il giorno senza che succeda nulla.
All’indomani chiamo la filiale, ma non risponde nessuno perché è sabato, loro sono etici e al sabato mica lavorano.
Io, invece, passo il fine settimana a fare i conti per capire per quanto tempo ancora posso mantenere in funzione il sistema azienda in queste condizioni. Dirotto alcune attività su paypal accettando di pagare delle commissioni importanti, ma non c’è alternativa.
Al lunedì mattina chiamo la banca per chiedere spiegazioni e, con il massimo candore (sono etici, no?), il bancario dall’altro capo della cornetta mi dice che Banca Etica ha recentemente cambiato il codice SWIFT e che molte banche non hanno ancora registrato il cambio e che è per questo che non entrano alcuni bonifici.
La stessa cosa è confermata dall’azienda stessa anche su Trustpilot:
Nel frattempo io realizzo che i mancati pagamenti sono molti di più di quanti pensassi e che c’è gente che ha comprato quello che le serviva e che poi è di fatto scappata senza pagare.
Chiedo quindi alla Banca che tipo di risarcimento mi potessero offrire per il danno subito e la risposta è che, poiché il problema è di tutte le altre banche, Banca Etica non mi può risarcire di nulla, ma che mi arriverà una proposta di soluzione. Dopo una settimana esatta mi arriva una mail che mi offre un fido sulle cifre che riuscirò a dimostrare di non aver incassato a causa del cambio di codice SWIFT.
Insomma, oltre al danno, la beffa di dovermi mettere a dimostrare quali sono i miei creditori e relativi importi.
E quello è il momento in cui ho smesso di subire.
Ho aperto un conto in un’altra banca, una di quelle che pensano solo ai soldi e che non si nascondono dietro l’etica e dietro l’interesse di tutti e, invece di aprire procedure di fidi per dimostrare quali sono i miei creditori e quale importo mi spetta, mi sono limitato a comunicare il nuovo iban ai clienti.
Scrivo queste righe perché è quello che avrei voluto leggere 6 anni fa quando ho aperto il conto in Banca Etica: avrei voluto qualcuno che mi dicesse a cosa sarei andato incontro.
Avrei voluto qualcuno che mi dicesse che per fare impresa occorre una banca che sa fare la banca, non un soggetto etico e morale che passa il tempo a parlarsi addosso ma che, quando hai bisogno tu, sono sempre e solo cavoli tuoi.
Mancano ormai poche manciate di ore alle elezioni per il nuovo sindaco di Milano e sta finalmente giungendo al termine una delle campagne elettorali meno entusiasmanti della storia.
Ho pensato molto a come usare il mio voto e voglio condividere qui con voi le mie conclusioni.
Il sindaco
Sul sindaco non ho dubbi: voterò per Beppe Sala.
Non solo perché tutti gli altri candidati sono davvero improponibili, ma perché sono realmente convinto che se anche ci fosse la possibilità di votare un milanese chiunque alla guida di palazzo Marino, difficilmente si potrebbe trovare una persona altrettanto capace di gestire una macchina così complessa in un momento tanto delicato.
Perché per guidare una città come Milano occorre competenza e visione, serve uno che sappia fronteggiare ostacoli senza eccessivi tentennamenti, uno che lo abbia già fatto in passato e Sala lo ha dimostrato in diverse occasioni.
Capiamoci, non credo che Sala sia perfetto e ritengo anzi che nel corso del primo mandato abbia inanellato una serie di errori anche abbastanza eclatanti: ho avuto modo di rimproverargli anche pubblicamente una serie di scelte, tra queste il modo in cui ha gestito il Parco Bassini, l’impronta data alla città come divertimentificio, la storia del #milanononsiferma, la timidezza nella gestione della qualità dell’aria e tante altre.
Ma qui non si tratta di trovare l’anima gemella, si tratta di trovare un amministratore per la città in grado di traghettarla per altri 5 anni nel periodo della transizione ambientale. Amministro una piccola azienda e la cosa mi ha insegnato che solo chi non ha responsabilità non compie mai errori. Sbagliare è umano e l’unico errore imperdonabile è quando non si impara dai propri errori.
Dopo la pandemia ho visto Sala ricredersi su molte cose e nulla è in grado di attrarre la mia stima come qualcuno che sa cambiare idea. Con la pandemia Sala ha smesso di essere l’amministratore delegato di Milano ed è diventato un politico che deve risolvere problemi reali, non rispondere al consiglio di amministrazione.
Se vince, questo sarà il suo secondo e ultimo mandato: non avrà più nulla da perdere. Questo significa che dovrà dimostrare se la sua adesione ai Verdi Europei è stato solo un bla bla bla per smarcarsi dal PD o per attuare una reale politica di transizione ambientale.
Già nel corso del primo mandato Sala aveva creato un dipartimento per la resilienza con il compito di mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulla città. In questo mandato mi aspetto di vedere messe in pratica le azioni in questa direzione.
Il consiglio comunale
Assieme al sindaco si voterà anche per il rinnovo del Consiglio Comunale. È importante che il consiglio dia forza alle idee e al programma del sindaco e non sia il luogo dove si tiene una guerra tra bande tra chi gioca su piccoli ricatti. Per questo motivo ho deciso che il mio voto andrà alla Lista Sala.
Perché voglio che il sindaco sia forte e affronti con forza e senza scuse le sfide che la città si trova davanti.
Chi mi conosce sa quanto peso e quanta importanza dò a temi come il consumo di suolo, la qualità dell’aria e alla mobilità attiva: sono i temi a cui ho dedicato gli ultimi 10 anni della mia vita sia come attivista, sia professionalmente. Ritengo pertanto che in consiglio comunale debba sedere qualcuno che capisca l’importanza di queste cose e ne conosca le logiche in modo compiuto.
Il mio candidato al Consiglio Comunale sarà pertanto Marco Mazzei.
Per chi non lo conoscesse, Mazzei è quello che si è inventato Abbracciami (l’anello ciclabile che ruota attorno a Milano), quello che ha animato due edizioni di Milano Bike City ed è stato tra gli iniziatori della Massa Marmocchi (l’iniziativa per accompagnare a scuola i bambini in bicicletta). È anche un attivista dei diritti LGBT.
Ci conosciamo ormai da una decina d’anni e personalmente lo trovo molto antipatico, è il tipo di persona con cui non andrei a cena, ma che invece trovo perfetta per sedere in Consiglio Comunale per fare le pulci a quei provvedimenti che vanno nella direzione sbagliata. Ha le idee e le competenze giuste. Vuole una città con meno auto e più bici, con più spazio per i disabili e per chi cammina. Insomma, è il mio uomo.
La mia altra preferenza andrà a Lucia Audia, per il suo impegno in materia di rigenerazione urbana, salute territoriale e di prossimità, politiche dell’abitare e a quelle per il lavoro e partecipazione attiva dei cittadini.
Consiglio di Zona 1
Ah, sì, si vota anche per il rinnovo dei Consigli di Zona. Io vivo in Zona 1 (centro) e il caso ha voluto che si candidasse nella lista Sala il mio vicino di casa, Alessandro Pacetti. Io e Alessandro ci siamo conosciuti 5 anni fa, quando io e Pinar ci siamo trasferiti a Milano. Ci vediamo quotidianamente sul balcone.
In questo anni mi prendo il merito di aver messo Alessandro in bicicletta e di avergli fatto conoscere cosa significa la ciclabilità per una città, il valore dell’andare a piedi, degli spazi per le persone. È stato un lavoro duro, fatto di aperitivi e cene, di confronti alle volte anche accesi sul tema della gestione della città.
In 5 anni sullo stesso pianerottolo, ho visto Pacetti prendersi cura dei vicini di casa durante il lockdown e del condominio per le questioni quotidiane. L’ho visto gestire i rapporti con il vicinato e con i bulletti di quartiere. È uno ostinato e preciso, ordinato fino all’ossessione e mi piace l’idea che il centro storico della mia città possa essere gestito da uno così.
Gli altri
Con questo non voglio direi che non ci siano altre persone di valore candidate in questo momento. Tra queste posso menzionare Enrico Fedreghini, storico dei Verdi e candidato al Consiglio Comunale con la Lista Civica Beppe Sala; Claudio Garrone ed Emanuele Bompian, candidati con la Lista Europa Verde; Pierfrancesco Maran, assessore uscente all’urbanistica, quello che ha voluto le piazzette tattiche in giro per Milano.
A loro auguro i miei più sentiti in bocca al lupo per queste elezioni, tuttavia in questa fase mi sento costretto a essere più realista del re e mi sento di dire: voglio Beppe Sala sindaco e lo voglio forte.
In vista della competizione elettorale per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Milano (a cui ho deciso di non partecipare), ho voluto buttare giù qualche proposta per la Milano dell’era post-covid, nella speranza che possa essere utile per innalzare il livello del dibattito che non può essere ridotto a una guerra tra chi vuole le ciclabili e chi non le vuole.
Buona lettura.
Opinioni, critiche e suggerimenti sono ovviamente benvenuti.
Prima dello scoppio della pandemia, la città di Milano dimostrava un tasso di motorizzazione (49 auto ogni 100 abitanti) molto superiore alle altre capitali europee (Parigi 25 auto ogni 100 abitanti) con importanti conseguenze in termini di inquinamento atmosferico, congestione, inefficienza, sedentarietà, consumo di risorse e di suolo.
La pandemia ha messo in fuorigioco il trasporto pubblico lasciando orfani del principale mezzo di trasporto oltre un milione di persone che ogni giorno gravitavano su Milano. La mancanza di alternative ha creato come conseguenza diretta è un ulteriore aumento della percentuale relativa di spostamenti in automobile rendendo ancora più insostenibile le condizioni di mobilità e aumentando i costi della mobilità per i cittadini.
La città di Milano deve quindi orientarsi verso uno sviluppo del proprio sistema di mobilità in modo da rendere la città un luogo sicuro, attrattivo, pulito, accessibile a tutti, economico, sostenibile e resiliente.
Si richiede pertanto un percorso di progressiva demotorizzazione della mobilità urbana fino al raggiungimento dell’obiettivo di 10 auto ogni 100 abitanti nel 2030 attraverso un percorso di valorizzazione della mobilità individuale non motorizzata e di riappropriazione degli spazi per aumentare l’attrattività delle aree anche non centrali della città metropolitana.
A tale scopo si renderanno necessari alcuni interventi e, in particolare:
abbassamento del limite massimo di velocità a 30 km/h in tutte le strade urbane ad eccezione della viabilità principale;
eliminazione della sosta gratuita in strada in tutto il territorio comunale ed eliminazione completa della sosta in strada all’interno della cerchia dei bastioni;
rimozione dell’asfalto dagli spazi ricavati della sosta in strada e piantumazione di alberi per aumentare la permeabilità del terreno e ridurre le isole di calore;
pedonalizzazione della cerchia dei bastioni, con accesso consentito solo a mezzi pubblici, mezzi con sirena, taxi e disabili;
progressiva pedonalizzazione e riarredo di tutte le strade davanti alle scuole (strade scolastiche);
creazione di parchi lineari radiali (sull’esempio di MIMO) che connettano il centro di Milano con le città dell’hinterland creando delle superciclabili per favorire gli spostamenti in mobilità in bicicletta;
redazione e implementazione di un biciplan di scala metropolitana per individuare la rete portante della ciclabilità sfruttando in particolare i parchi lineari individuati;
ripristino (o nuova creazione) delle connessioni tramviarie con le città dell’area metropolitana;
Estensione dell’area C all’attuale area B;
estensione delle regole di area C anche a motocicli e ciclomotori;
creazione di velostazioni nelle immediate prossimità di ogni stazione ferroviaria dell’area metropolitana;
creazione di parcheggi di interscambio alle porte della città con tariffe in abbonamento (gratuito per i residenti del Comune di Milano);
aumento del numero delle licenze taxi per aumentarne l’offerta e ridurrei costi di trasporto;
istituzione di buoni mobilità (Taxi, TPL, bike sharing) per chi rottama la propria auto;
TPL gratuito per gli under 25 e gli over 65;
retribuzione degli accompagnatori in bicicletta di bambini e ragazzi nei tragitti casa-scuola (bicibus) con i proventi delle contravvenzioni stradali;
installazione di autovelox in prossimità dei centri di aggregazione (scuole, cimiteri, ospedali, parchi pubblici);
incentivi all’acquisto di cargo bike per cittadini e per commercianti;
creazione di luoghi di aggregazione per i rider e creazione di microhub per la logistica urbana delle merci;
Sperimentazione progressiva di domeniche car-free per la riappropriazione degli spazi da parte della cittadinanza;
creazione di campagne di comunicazione per la sensibilizzazione della cittadinanza alla mobilità attiva, con un budget annuale complessivo non inferiore a 0,24 €/abitante;
incentivi all’acquisto di rastrelliere e spazi per la sosta delle biciclette a uso dei condomini;
divieto di accesso alle auto a combustione interna in tutto il territorio cittadino a partire dal 2025;
incentivi economici per la realizzazione di parcheggi bici, spogliatoi, armadietti e docce nelle aree di competenze delle aziende;
istituzione della figura del bike manager per l’attuazione del biciplan con un budget annuale di 10 milioni di euro per la realizzazione di infrastrutture e attività di comunicazione;
riformulazione degli obiettivi del PUMS alla luce dei cambiamenti imposti dalla pandemia e dalla dichiarazione di emergenza ambientale ed ecologica;
istituzione di una consulta cittadina della bicicletta e della mobilità attiva come organo consultivo vincolate per la giunta in materia di mobilità urbana.
Nel mio ultimo post su questo blog tifavo per un sostegno da parte dei Verdi italiani alla candidatura di Beppe Sala a sindaco di Milano. Seppure in modo molto rocambolesco, le cose sono andate proprio in questa direzione e, ieri mattina, dalle colonne di Repubblica il sindaco meneghino ha spiazzato tutti annunciando addirittura la propria adesione al partito dei Verdi europei.
L’annuncio di Sala è arrivato dopo che alla Camera dei Deputati si è creato il gruppo “Facciamo Eco” composto dalla ex presidente di Legambiente, Rossella Muroni, l’ex ministro grillino Lorenzo Fioramonti e Alessandro Fusacchia che sono anch’essi entrati nella famiglia dei Verdi europei.
Le notizie sono ottime e infondono ottimismo perché la crisi climatica è sotto gli occhi di tutti e per realizzare le riforme necessarie serve non solo un partito ambientalista forte e credibile, con vocazione maggioritaria e che sappia parlare con tutti gli stakeholder in gioco, ma anche persone capaci di far succedere le cose.
Quelle cose, ovvero, che fino a questo momento i Verdi italiani non sono riusciti a fare nonostante il vento propizio dell’onda verde sostenuta dalle giovani menti dei Fridays for Future.
E se prestiamo un po’ di attenzione alle parole, ci accorgiamo che i politici di peso finora menzionati hanno tutti annunciato la propria adesione al Partito dei Verdi Europei, ma non alla Federazione Italiana dei Verdi (che pure fa parte della famiglia dei Verdi Europei) che si è affrettata a dare il benvenuto in squadra al sindaco di Milano, rivendicando allo stesso tempo la titolarità nell’uso del brand come da statuto.
E qui si apre il grosso della questione: la federazione italiana dei Verdi è composta da una rigida struttura di organismi e contro-organismi che su base locale, regionale e nazionale hanno il compito di dare corpo al partito e le procedure vorrebbero che il signor Sala, dopo aver annunciato la propria adesione al partito, si faccia tutta la gavetta, gradino dopo gradino per arrivare al vertice.
Ma le cose difficilmente andranno in questo modo: al di là dei messaggi di benvenuto dell’ultima ora, vale la pena ricordare che nel gennaio 2020 il Sindaco di Milano disse che i “Verdi italiani dovrebbero chiedere scusa agli Italiani per il proprio 2%” a cui i Verdi risposero annunciando che avrebbero corso da soli alle elezioni amministrative in contrapposizione a Sala, salvo poi contarsi le dita delle mani e scoprire di non avere i numeri per farlo quindi tornare sui propri passi. Vae Victis!
In un contesto simile la federazione dei verdi italiani è quindi più un fastidio che un problema per Sala, poiché il sindaco di Milano ha già ricevuto la benedizione per il proprio operato da Bruxelles (leggi dal Partito dei Verdi Europei) con cui da mesi sono in corso incontri e dialoghi, mentre il fronte interno dei Verdi è diviso tra coloro che vogliono difendere la propria posizione di preminenza all’interno del partito da difendere con le unghie e con i denti e quelli che, invece, da sempre guardano con invidia agli altri partiti verdi europei e sperano che succeda qualcosa in Italia che porti alla nascita di un vero partito ambientalista che sappia andare oltre l’approccio nimby.
L’annuncio di Sala è quel qualcosa che stavamo aspettando da anni e che, si spera, porterà a un’apertura a tutto il mondo dell’ambientalismo senza perniciose e nauseanti discussioni sulla legittima proprietà di un marchio che, tanto, non riesce ad andare oltre il 2% qualunque cosa succeda.
E gli ambientalisti?
Gli ambientalisti della prima ora a questo punto sono spaccati: da un lato ci sono quelli che non credono che Sala possa incarnare i valori della protezione dell’ambiente (alla luce di quello che ha fatto a Milano nel corso dei primi 3 anni di mandato) e quelli che non vogliono perdere l’opportunità di portare i temi ambientali al centro dell’agenda politica sapendo che Sala è in grado di realizzare cambiamenti impensabili (vedi quanto fatto nel corso dell’ultimo anno di mandato).
Personalmente ritengo che fintanto che il principale partito ambientalista italiano resta fermo al 2%, questo non avrà alcun impatto sulle sorti del pianeta, dell’Italia o di Milano, l’unica speranza è rimettersi in discussione, avviare un nuovo processo fondativo (come auspicavo già due anni fa) e allargare a tutti coloro che vogliono starci per far diventare la sostenibilità e l’emergenza ambientale la colonna portante dell’agire politico della più importante città italiana prima e del paese, poi.
Per questo motivo ho salutato con il massimo entusiasmo possibile la scelta di Sala di entrare nella grande famiglia dei Verdi Europei: perché l’unica alternativa al momento sarebbe l’irrilevanza totale del tema ambientale che è una responsabilità troppo pesante da portare in questo periodo storico.
E a quelli che si stracciano le vesti per l’ingresso di Sala nei Verdi europei (per eleganza eviterò di fare nomi) voglio rivolgere e rivolgerò solo una domanda: cosa “proponi di alternativo?”.
Nel frattempo, benvenuto Beppe. Ci aspettiamo grandi cose da te.