Le mie proposte per la mobilità per Milano

In vista della competizione elettorale per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Milano (a cui ho deciso di non partecipare), ho voluto buttare giù qualche proposta per la Milano dell’era post-covid, nella speranza che possa essere utile per innalzare il livello del dibattito che non può essere ridotto a una guerra tra chi vuole le ciclabili e chi non le vuole.

Buona lettura.

Opinioni, critiche e suggerimenti sono ovviamente benvenuti.

Prima dello scoppio della pandemia, la città di Milano dimostrava un tasso di motorizzazione (49 auto ogni 100 abitanti) molto superiore alle altre capitali europee (Parigi 25 auto ogni 100 abitanti) con importanti conseguenze in termini di inquinamento atmosferico, congestione, inefficienza, sedentarietà, consumo di risorse e di suolo.

La pandemia ha messo in fuorigioco il trasporto pubblico lasciando orfani del principale mezzo di trasporto oltre un milione di persone che ogni giorno gravitavano su Milano. La mancanza di alternative ha creato come conseguenza diretta è un ulteriore aumento della percentuale relativa di spostamenti in automobile rendendo ancora più insostenibile le condizioni di mobilità e aumentando i costi della mobilità per i cittadini.

La città di Milano deve quindi orientarsi verso uno sviluppo del proprio sistema di mobilità in modo da rendere la città un luogo sicuro, attrattivo, pulito, accessibile a tutti, economico, sostenibile e resiliente. 

Si richiede pertanto un percorso di progressiva demotorizzazione della mobilità urbana fino al raggiungimento dell’obiettivo di 10 auto ogni 100 abitanti nel 2030 attraverso un percorso di valorizzazione della mobilità individuale non motorizzata e di riappropriazione degli spazi per aumentare l’attrattività delle aree anche non centrali della città metropolitana.

A tale scopo si renderanno necessari alcuni interventi e, in particolare:

  • abbassamento del limite massimo di velocità a 30 km/h in tutte le strade urbane ad eccezione della viabilità principale;
  • eliminazione della sosta gratuita in strada in tutto il territorio comunale ed eliminazione completa della sosta in strada all’interno della cerchia dei bastioni;
  • rimozione dell’asfalto dagli spazi ricavati della sosta in strada e piantumazione di alberi per aumentare la permeabilità del terreno e ridurre le isole di calore;
  • pedonalizzazione della cerchia dei bastioni, con accesso consentito solo a mezzi pubblici, mezzi con sirena, taxi e disabili;
  • progressiva pedonalizzazione e riarredo di tutte le strade davanti alle scuole (strade scolastiche);
  • creazione di parchi lineari radiali (sull’esempio di MIMO) che connettano il centro di Milano con le città dell’hinterland creando delle superciclabili per favorire gli spostamenti in mobilità in bicicletta;
  • redazione e implementazione di un biciplan di scala metropolitana per individuare la rete portante della ciclabilità sfruttando in particolare i parchi lineari individuati;
  • ripristino (o nuova creazione) delle connessioni tramviarie con le città dell’area metropolitana; 
  • Estensione dell’area C all’attuale area B;
  • estensione delle regole di area C anche a motocicli e ciclomotori;
  • creazione di velostazioni nelle immediate prossimità di ogni stazione ferroviaria dell’area metropolitana;
  • creazione di parcheggi di interscambio alle porte della città con tariffe in abbonamento (gratuito per i residenti del Comune di Milano);
  • aumento del numero delle licenze taxi per aumentarne l’offerta e ridurrei costi di trasporto;
  • istituzione di buoni mobilità (Taxi, TPL, bike sharing) per chi rottama la propria auto;
  • TPL gratuito per gli under 25 e gli over 65;
  • retribuzione degli accompagnatori in bicicletta di bambini e ragazzi nei tragitti casa-scuola (bicibus) con i proventi delle contravvenzioni stradali;
  • installazione di autovelox in prossimità dei centri di aggregazione (scuole, cimiteri, ospedali, parchi pubblici);
  • incentivi all’acquisto di cargo bike per cittadini e per commercianti;
  • creazione di luoghi di aggregazione per i rider e creazione di microhub per la logistica urbana delle merci;
  • Sperimentazione progressiva di domeniche car-free per la riappropriazione degli spazi da parte della cittadinanza;
  • creazione di campagne di comunicazione per la sensibilizzazione della cittadinanza alla mobilità attiva, con un budget annuale complessivo non inferiore a 0,24 €/abitante;
  • incentivi all’acquisto di rastrelliere e spazi per la sosta delle biciclette a uso dei condomini;
  • divieto di accesso alle auto a combustione interna in tutto il territorio cittadino a partire dal 2025;
  • incentivi economici per la realizzazione di parcheggi bici, spogliatoi, armadietti e docce nelle aree di competenze delle aziende;
  • istituzione della figura del bike manager per l’attuazione del biciplan con un budget annuale di 10 milioni di euro per la realizzazione di infrastrutture e attività di comunicazione;
  • riformulazione degli obiettivi del PUMS alla luce dei cambiamenti imposti dalla pandemia e dalla dichiarazione di emergenza ambientale ed ecologica;
  • istituzione di una consulta cittadina della bicicletta e della mobilità attiva come organo consultivo vincolate per la giunta in materia di mobilità urbana.

Crollano i viadotti, ma non le certezze

Alla fine è successo di nuovo: un viadotto è crollato, sotto i colpi del maltempo, come lo chiamano i TG.

Un altro viadotto ha ceduto ai mancati allarmi delle autorità competenti che saranno di nuovo presto sotto processo.

È successo di nuovo e succederà ancora, presto.

Succederà perché i ponti, i viadotti e le infrastrutture che abbiamo creato nel corso del secolo scorso avevano una data di scadenza invisibile scritta sopra che, evidentemente, è arrivata. E pare che in tutta Italia ci siano 1425 viadotti di cui si ignora perfino la proprietà e la competenza.

Succederà ancora perché i fenomeni meteorologici saranno sempre più estremi, come ci ricordano gli scienziati del clima e i gretini di mezzo mondo.

Succederà ancora perché i flussi, le dimensioni e il peso delle vetture per cui erano state pensate quelle infrastrutture erano molto differenti ai tempi della progettazione rispetto ad oggi.

Adesso inizierà la caccia al colpevole, ma non so se si avrà il coraggio di interrogarsi sulla necessità e sulla sostenibilità (ambientale ed economica) di tutti quei 1425 viadotti a rischio nella nostra penisola.

Sono convinto che quando scopri che le infrastrutture che hai costruito per un modello di mobilità non durano per sempre e neppure sono adatte ad affrontare il mondo presente, quello è il momento di mettere in discussione il modello di mobilità per cui le hai costruite.

Il che non significa mettere in discussione lo specifico progetto, ma in generale i criteri di pianificazione, ovvero chiedersi come si sposteranno tra 50 anni gli Italiani e poi di conseguenza decidere quali infrastrutture sono utili e quali no. L’alternativa è continuare a rattoppare una rete di infrastrutture pensate in un momento di euforia, ottimismo e disponibilità economica ipotizzando che mai ci sarebbe stato un momento di scarsità di risorse.

E oggi noi stiamo vivendo non solo un periodo di scarsità di risorse, ma anche un periodo di emergenza climatica che nel secolo scorso nessuno mai avrebbe potuto immaginare.

Europa Verde aderisce all’appello “Cycling for All” di FIAB

“Come Europa Verde, aderiamo convintamente a ‘Cycling for All’, l’appello lanciato da FIAB Onlus ai candidati alle Europee”.

Lo comunicano, a nome dei candidati di Europa Verde e della lista, la portavoce della Federazione dei Verdi, Elena Grandi e Paolo Pinzuti, entrambi candidati alle elezioni europee nella circoscrizione Nord-Ovest.

Paolo Pinzuti e Alessandro Tursi, presidente FIAB Onlus

“Condividiamo l’obiettivo della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta che entro il 2030 la metà degli spostamenti in ambito urbano avvengano in bicicletta e, come componenti della grande famiglia dei Verdi Europei, non possiamo che sostenere l’iniziativa. Nell’ultima legislatura, il nostro gruppo europeo si è battuto per promuovere la mobilità ciclistica, ottenendo grandi risultati come, ad esempio, che tutti i treni nuovi e rinnovati debbano avere almeno 8 posti bici a bordo.
La visione di una città a misura di persona e non più di automobile ci vedrà quindi impegnati nella lotta per ottenere almeno un raddoppio dell’attuale budget dei trasporti dedicati alla ciclabilità perché è indecente che a fronte di un 10% di persone che si muovono in bicicletta quotidianamente in Europa, solamente l’1,5% del budget sia a loro dedicato.
Grande attenzione ci vedrà coinvolti sul tema della sicurezza stradale con attività di pressione per ottenere la dotazione dell’Intelligent Speed Adaptation (un “filo di sicurezza” che collega il navigatore con l’acceleratore) su tutti i veicoli.
Il nostro impegno, insomma, non cambia.”

La prima causa di morte tra i giovani

Se voi foste, diciamo, il ministro degli interni e doveste concentrare la vostra massima attenzione su una questione specifica, a cosa vi dedichereste? Alla lotta alla mafia? Alla lotta all’immigrazione? Ai comizi elettorali?

Io, per esempio, quello che farei è andare a studiare quali sono le principali minacce da cui devo difendere i cittadini. E credo che andrei a vedere, tipo, quali sono le principali cause di morte nella popolazione che devo difendere.
Probabilmente dedicherei la mia attenzione in particolare ai più giovani, perché sono il futuro del paese.
In questo caso scoprirei che la prima causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 24 anni è l’incidentalità stradale.
cause di morte giovani

Sono ragazzi che utilizzano mezzi molto più potenti di quanto non sappiano gestire, che magari hanno il vizietto di buttare un po’ troppo spesso l’occhio al cellulare.

Ogni anno sulle nostre strade muoiono 3500 persone nel totale disinteresse delle istituzioni la cui idea di sicurezza sembra riguardare più che altro le barche dei poveri cristi che scappano dall’inferno.

Ridurre la velocità sulle strade è la prima cosa da fare ed è quello che stanno facendo la Francia che ha deciso di portare da 90 a 80 Km/h la velocità massima nelle strade statali, la Spagna da 100 a 90 Km/h, il Belgio da 90 a 70 Km/h. E tutte stanno puntando alla riduzione delle velocità massime in ambito urbano a 30 km/h. Perché ridurre le velocità anche solo di un km/h significherebbe salvare 2100 vite all’anno in tutta Europa.

Oggi la tecnologia ci permette di tenere sotto controllo la velocità dei veicoli attraverso dei dispositivi in grado di “leggere” la velocità massima della strada e regolare conseguentemente la velocità massima del veicolo. Questo dispositivo si chiama ISA: Intelligent Speed Adaptation e ritengo che l’Unione Europea dovrebbe renderlo obbligatorio su tutti i veicoli come requisito di omologazione.

L’altra tecnologia disponibile è quella dei rilevamenti di velocità in strada che oggi però sono vietati nelle aree urbane (vedi art. 4 della legge 168/2002) di tutta Italia perché sennò sembra che le amministrazioni comunali vogliano “fare cassa” che pare brutto. E il risultato è che ognuno fa come gli pare, al punto che durante un rilevamento di velocità davanti a una scuola di Monza ho avuto modo di rilevare velocità massime di 74 km/h in pieno pomeriggio.

Lo scorso 6 di Marzo sono andato in Parlamento, alla commissione trasporti della Camera  per presentare le mie osservazioni per le modifiche al codice della strada (di seguito il video).

La Commissione non ha recepito nulla della mia proposta di portare la pace sulle strade. Questa è stata di fatto la molla che mi ha spinto a candidarmi alla prossima tornata elettorale.

Oggi si apre la settimana mondiale della sicurezza stradale che ci ricorda che ogni anno questa costa all’umanità 1,3 milioni di morti e allo Stato italiano 30 miliardi di euro di spese sanitarie.
global road safety week

Se solo si volesse, si potrebbe raggiungere in poco tempo l’obiettivo morti zero sulle strade, basterebbe solo la volontà politica di farlo.

Ma non c’è. Non ancora almeno.

Votapinz

Perché le auto elettriche non sono la soluzione per l’ambiente (e quali sono le soluzioni)

Gli ultimi sondaggi ci dicono che l’84% degli Italiani vuole che i partiti affrontino il problema del riscaldamento globale e facciano dell’Unione Europea un leader mondiale nella lotta contro i cambiamenti climatici.

La reazione più ovvia e immediata è un fiorire di dichiarazioni da parte di partiti di ogni estrazione che giurano e spergiurano di essere da sempre dalla parte dell’ambiente (anche se poi scambiano l’anidride carbonica con il cobalto, ma questa è un’altra storia) e inanellano una serie di proposte per dimostrarlo, la prima delle quali è sempre l’auto elettrica eretta a panacea di ogni male ambientale del terzo millennio.

Se da un lato questa è una buona notizia (finalmente ci si rende conto dell’impatto ambientale dei trasporti), dall’altro siamo di fronte alle solite frottole di chi non avendo idea di come risolvere i problemi, cerca il toccasana da dare in pasto all’opinione pubblica in cambio di una manciata di voti.

Ma andiamo con ordine:

L’approvvigionamento di energia/1

Se è vero che in principio le automobili elettriche inquinano meno delle auto con motore endotermico, è anche vero che tutto dipende dal mix energetico utilizzato per la loro alimentazione: se l’energia elettrica viene prodotta bruciando petrolio o carbone, la questione delle emissioni di inquinanti viene semplicemente spostata dal cofano dell’auto alla centrale elettrica senza alcun beneficio.

Al momento solo il 33% dell’energia prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili, mentre il resto proviene da fonti fossili. Un’auto elettrica in Italia oggi è di fatto un’auto che consuma meno idrocarburi rispetto a un’auto a motore endotermico, ma non è esattamente “pulita”.

Un generatore di corrente diesel per caricare un’auto elettrica

L’approvvigionamento di energia/2

Le auto elettriche hanno bisogno di batterie che necessitano di essere ricaricate. Il problema è che fare il pieno è più complesso e lungo che non con le auto a benzina/diesel. Per quanto esistano tecnologie che promettano ricariche veloci in 15 minuti, oggi per una ricarica completa occorrono 2/3 ore (o 6 con un impianto domestico tradizionale). Solo Milano può contare su un parco di 700.000 auto a cui si aggiungono le 900.000 che entrano ogni giorno: considerando che sono quasi tutte parcheggiate in strada, quante colonnine servirebbero per ricaricarle tutte?

La questione delle batterie

Anche se risolvessimo la questione dell’approvvigionamento di energia rendendolo rinnovabile al 100%, resterebbe pur sempre la questione delle batterie che vengono prodotte estraendo un metallo raro, il litio, che è molto impattante in fase di estrazione e in fase di smaltimento. L’obiettivo è risolvere i problemi, non crearne di nuovi.

L’impatto produttivo

Il Lifecycle Assessment (LCA) è lo strumento riconosciuto internazionalmente per valutare l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 per tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla culla alla tomba. Un’auto elettrica (con l’attuale mix energetico italiano) corrisponde più o meno a 580.000 km percorsi da un’auto diesel. Non ci siamo.

La questione traffico

Se anche sostituissimo tutte le auto del pianeta con auto elettriche e avessimo risolto la questione dell’approvvigionamento di energia rinnovabile, rimarrebbe pur sempre il problema del traffico: con 62 auto ogni 100 abitanti, l’Italia ha il più alto tasso di motorizzazione in Europa. Sostituire i motori non cambierà di una virgola il problema del traffico che ogni anno ci costa l’1,5% del PIL.

La questione incidentalità

Ogni anno in Italia muoiono 3.500 persone a causa di incidenti stradali e altre 20.000 persone restano gravemente ferite. Questa è la vera emergenza sicurezza che il nostro paese si ritrova ad affrontare e che solamente in termini economici costa 30 miliardi di euro/anno al sistema paese, senza considerare il dramma delle famiglie distrutte da questo bilancio terrificante.

Sostituire il motore delle automobili non risolverà in nessun modo il problema.

La questione temporale

In Italia al momento circolano oltre 44 milioni di autoveicoli e ogni anno si vendono circa 1,6 milioni di autoveicoli. Se anche a partire da oggi si vendessero solamente auto elettriche, occorrerebbero circa 27 anni per sostituire tutto il parco auto circolante. Ma noi non abbiamo tutto questo tempo.

La soluzione

Se l’automobile elettrica non è la soluzione, allora, qual è la soluzione ai problemi dell’inquinamento, del contenimento delle emissioni di CO2 e del benessere della popolazione?

Contrariamente a quanto sostengono i cacciatori di voti facili, non esiste una soluzione unica, ma un mix di strumenti che se implementati, possono ridurre l’impatto ambientale dei nostri trasporti e aumentare la qualità della nostra vita.

Cambiare modello

Il ‘900 si è basato sul concetto di fluidificazione del traffico, ovvero si è cercato di rispondere alla domanda “quante auto possiamo spostare nel minor tempo possibile?”. Questo ha creato una domanda indotta e sempre più persone hanno deciso di spostarsi in auto saturando ogni spazio disponibile. Oggi dobbiamo cambiare la domanda e chiederci “quante persone possiamo spostare nel minor tempo possibile?”.

Per farlo, dobbiamo invertire l’ordine delle priorità e privilegiare prima di tutto gli spostamenti a piedi e in bicicletta, poi quelli con il trasporto pubblico, poi la mobilità condivisa e infine la mobilità privata a motore. L’illustrazione qui sotto lo spiega chiaramente.

Come si fa? Ridistribuendo in modo coerente lo spazio e i finanziamenti pubblici.

Ridurre il parco auto circolante

Con 62 auto ogni 100 abitanti, l’Italia è il paese con il tasso di motorizzazione più alto in Europa e gli effetti negativi li vediamo tutti i giorni dentro alle nostre città. Se non riduciamo il numero delle auto in circolazione non risolveremo mai il problema.

Servono incentivi a chi abbandona l’automobile a favore di altre forme di mobilità.

Serve una redistribuzione dello spazio pubblico per creare infrastrutture ciclabili e luoghi per la socialità delle persone. I casi in tutto il mondo dimostrano che quando si tolgono le auto dalle strade aumenta il fatturato del commercio al dettaglio.

L’obiettivo deve essere arrivare nelle città al 20% di spostamenti in automobile, mentre il resto deve avvenire a piedi, in bicicletta e con il trasporto pubblico.

Rivedere la logistica urbana

Le nostre città sono oggi ostaggio di una logistica fatta da furgoni diesel parcheggiati perennemente sul marciapiedi con le quattro frecce accese, il tutto per la consegna di un libro. Secondo uno studio della European Cyclelogistic Federation, il 51% delle esigenze logistiche urbane possono essere risolte con biciclette di varia forma e natura.

Occorrerà anche ripensare tutta la distribuzione lavorando sulla creazione di microhub urbani per la consegna/prelievo di pacchi e pacchetti per evitare che a spostarsi siano i furgoni.

Professionalizzare l’uso dell’automobile nelle città

L’automobile è un mezzo di trasporto che se usato impropriamente e con superficialità può causare danni molto gravi. Non si può più continuare a lasciare le auto nelle mani di chiunque. Bisogna andare verso un futuro di professionalizzazione dell’uso dell’automobile, in cui solamente chi è fisicamente e mentalmente idoneo può condurla, soprattutto all’interno delle città. Questo significa aumentare di molto il numero di taxi in circolazione e, conseguentemente, ridurre le tariffe per renderne l’uso accessibile a tutti.

Potenziare il trasporto pubblico

Da quando hanno introdotto i treni ad alta velocità per andare da Bologna a Milano occorre un’ora. Esattamente quanto ci vuole, poi, per spostarsi da una periferia all’altra.

Occorre potenziare i trasporti pubblici partendo da un criterio di leggerezza infrastrutturale ed economia: continuare a scavare per realizzare metropolitane sotterranee è un inutile spreco di risorse, di tempo, di energia e di CO2.

Le migliori esperienze in giro per il mondo dimostrano che tram, metropolitane leggere di superficie e i Bus Rapid Transit sono il modo più efficiente per spostare le persone.

Come dite? Il problema è lo spazio? Basta togliere le auto e avremo tutto lo spazio che serve.

Potenziare le infrastrutture ciclabili

A Copenaghen il 50% della popolazione si sposta quotidianamente in bicicletta per raggiungere il posto di lavoro o la scuola. A Milano solo il 6% lo fa.

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Il traffico di Copenaghen

Il motivo è la mancanza di una rete capillare di infrastrutture per la ciclabilità (piste ciclabili, ma non solo). Partendo dal presupposto che per ogni km percorso in bicicletta la società ha un beneficio netto di 0,23 €, mentre per ogni km percorso in automobile la società ha un danno netto di 0,84 €, qualunque investimento si decida di fare per la ciclabilità, non sarà mai abbastanza.

Ridurre le velocità

Per quanto negli ultimi anni si sono ridotte drasticamente le morti da incidente stradale, non può sfuggire che la riduzione è avvenuta unicamente all’interno dell’abitacolo delle automobili grazie a soluzioni tecnologiche come le cinture di sicurezza, l’abs, il ripensamento delle scocche; mentre il numero di pedoni e ciclisti vittime di incidenti mortali sono stabili nel tempo.

Visto che la velocità è la principale causa di incidentalità stradale, la riduzione delle velocità deve essere la strada da percorrere. 30 km/h deve essere la velocità massima ammissibile nelle aree urbane (ad eccezione delle strade di scorrimento).

Questo obietivo può essere perseguito attraverso interventi di moderazione del traffico, controlli elettronici delle velocità, oppure attraverso strumenti tecnologici (Intelligent Speed Adaptation) che leggano la strada e limitino la velocità delle auto direttamente dalla centralina.

E l’auto elettrica?

Alla luce di quanto detto fino a questo momento, l’auto elettrica è la soluzione alla mobilità solamente in modo residuale, ovvero quando tutte le altre soluzioni sono da escludersi. Quindi benissimo sostituire il parco auto passando dalla combustione di idrocarburi all’elettrico, ma solamente mentre si lavora drasticamente alla riduzione del parco auto esistente.

E l’Unione Europea?

Come forse saprai, ho deciso di candidarmi alle elezioni europee 2019 nella lista Europa Verde nella circoscrizione Nord Ovest (Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).

Già in molti mi hanno chiesto cosa c’entri l’Unione Europea con questi temi, ma il fatto è che il Parlamento Europeo è l’organismo preposto all’approvazione del bilancio dell’Unione Europea, ovvero laddove viene deciso come si distribuiscono i denari pubblici.

+ Bici – Auto, insomma.