C’è un messaggio che da diversi mesi ricorre inascoltato in giro per l’Europa: è quello di Greta Thunberg, la ragazzina svedese che non perde occasione di ribadire alla politica che bisogna fare scelte coraggiose per contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta.
Greta (e i ragazzi del Fridays for Future con lei) non smette di dire che la politica deve ascoltare gli scienziati e agire subito. E poi ci sono i politici che fanno di sì con la testa, si fanno un selfie e continuano come se nulla fosse con il solito approccio di sempre.
Certo, perché i nostri rappresentanti nelle istituzioni sono gli stessi di sempre, sono gli schiavi del PIL e che mai si sognerebbero di adottare misure anticicliche che non mettano al primo posto la crescita dell’economia con la solita visione miope di chi vuole una crescita infinita in un mondo fatto di risorse finite.
I limiti del pensiero economico
Il punto è che la politica non è pronta per il messaggio dirompente di Greta perché richiede un approccio all’economia nuovo che non si ritrova né nel pensiero liberale, né in quello socialista perché né Adam Smith, né Karl Marx, né John Maynard Keynes, né tutti quelli che sono venuti dopo si sono mai posti il problema dei limiti strutturali del nostro sistema.
Chi ha teorizzato lo sviluppo economico del genere umano ha sempre approcciato il tema delle risorse come il cowboy che continua imperterrito la propria marcia di conquista del west, come se prima o poi non dovesse arrivare l’oceano a interromperne l’avanzata. Oggi l’oceano che pone fine alla conquista del west si staglia chiaro all’orizzonte, a soli 11 anni di distanza.

Il PIL in un’immagine
Oggi più che mai serve un approccio nuovo perché l’equazione da risolvere è quantomai complessa, perché i sistemi sono tra loro altamente interconnessi. Sappiamo per esempio che dobbiamo eliminare i sussidi alle fonti energetiche fossili e indirizzarle verso la produzione di energie rinnovabili, ma mentre lo facciamo dobbiamo stare attenti a non lasciare per strada i lavoratori del settore che rischierebbero di aumentare la schiera dei disperati in fila davanti alla Caritas.
Sappiamo che dobbiamo aumentare le tasse su tutte quelle attività ad alto contenuto di carbonio, ma mentre lo facciamo dobbiamo evitare di ritrovarci con i gilet gialli in strada che saccheggiano le nostre città perché l’unica cosa peggiore di affrontare un’emergenza climatica è affrontare un’emergenza climatica durante una guerra civile.
Gli scienziati che studiano da decenni il fenomeno del cambiamento climatico ci dicono che dobbiamo tagliare drasticamente le emissioni di CO2 in atmosfera attraverso la tecnologia, attraverso la riduzione dei consumi di materie prime, attraverso l’economia circolare, attraverso la riduzione della popolazione mondiale, ma mentre lo facciamo dobbiamo evitare di amplificare le disuguaglianze economiche e sociali che ci hanno portato fino a questo punto.
Le ricette facili non funzionano
Non possiamo semplicemente mettere al bando la plastica per sostituirla con le bioplastiche da amido di mais o da canapa perché queste sposterebbero il problema dal consumo di petrolio al consumo di acqua e di terreni fertili. Non possiamo semplicemente sostituire le auto con motore a combustione interna con auto elettriche perché significherebbe semplicemente spostare il problema dal petrolio al litio.
Non possiamo intervenire sull’efficientamento energetico nell’edilizia senza occuparci di quello che avviene fuori dagli edifici, senza occuparci del verde pubblico, della gestione della strada e dei trasporti. Non possiamo occuparci di trasporti senza affrontare il tema della logistica e della distribuzione delle merci. Non possiamo occuparci della distribuzione delle merci senza parlare della loro produzione e del loro ciclo di vita. Non possiamo occuparci del ciclo di vita delle merci senza occuparci dei produttori e dei lavoratori, delle loro condizioni di vita e del loro benessere, dei territori dove si produce. Non possiamo occuparci vita dei nostri territori senza occuparci delle condizioni dei territori di tutto il mondo e, quindi, del sistema di relazioni internazionali.
In buona sostanza, non possiamo continuare a compiere scelte tecniche o politiche a compartimenti stagni, senza averne valutato opportunamente le conseguenze sul sistema nel suo complesso.
Quello che serve è un approccio olistico che tratti la Terra per quella che è: un ecosistema complesso in cui ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. E oggi non ci possiamo più permettere che le reazioni siano incontrollate.
Un’agenda politica
Per questo motivo ho deciso di iniziare a lavorare a quella che voglio chiamare una Costituente Verde: un momento di incontro tra scienziati, associazioni e movimenti per redigere un’agenda politica che delinei le azioni da compiere da qui ai prossimi 11 anni per contenere l’innalzamento della temperatura terrestre garantendo il benessere di tutti i suoi abitanti.
Un progetto di questo tipo non può essere improvvisato e, anche se in termini elettorali sarebbe stato più conveniente farlo adesso durante la campagna per le europee in cui sono direttamente coinvolto, ritengo che la una Costituente Verde sia una cosa troppo seria per derubricarla a mera azione elettorale.
L’obiettivo non può essere vincere qualche seggio al Parlamento Europeo, ma deve essere la creazione di un programma di medio-lungo periodo che sappia attivare tutti quelli che vogliono trasformare la propria protesta e la propria proposta in azione concreta all’interno delle istituzioni.
Lavorerò affinché la Costituente Verde si tenga in autunno con il compito di creare una leadership politica sul tema (non incoronare un leader, attenzione). Il progetto è ambizioso, ma stare a guardare, manifestare, scrivere articoli, attivarsi nei comitati, raccogliere firme e fare divulgazione non basta più.
Il movimento ambientalista ha una sola opzione davanti a se: passare all’azione dentro alle istituzioni dentro a un soggetto politico organizzato attorno a un obiettivo comune o continuare a fare la “cassandra” da fuori, come gli umarel che scuotono la testa mentre altri lavorano.
L’unica scelta è rimboccarci le maniche e agire come se la nostra casa fosse in fiamme, perché lo è.